Mito e realtà dei micro-sonni

Novembre, 2023

PIETRO 

TRABUCCHI

Psicologo

Come prepararsi alle gare dove non si dorme

Alcuni contemporanei attribuivano a Leonardo da Vinci la caratteristica di poter resistere per molti giorni dormendo solo per brevissimi intervalli di tempo. Sembra che questa capacità fosse frutto di una ben precisa esigenza: quella di poter terminare i grandi affreschi prima che i colori utilizzati si asciugassero, diventando non più modificabili.

Oggi non è più in campo artistico che viene coltivata la capacità di non dormire: è invece in campo sportivo che la deprivazione da sonno (DDS) si rivela uno dei più potenti fattori limitanti della prestazione, un fattore a volte insuperabile.

© 2023 TORX | Photo: Zzam.Agency

Gli sportivi che per primi hanno dovuto fare i conti con i suoi effetti devastanti sono stati i velisti impegnati nelle regate transoceaniche in solitaria. Impensabile abbandonare il timone e la rotta per un’intera notte. E’ in questo campo che si sono sviluppate le prime esperienze sistematiche di soluzione alla deprivazione: i cosiddetti “micro-sonni”, ovvero gli epigoni moderni dei brevissimi pisolini leonardeschi.

Nel mondo dell’ultratrail, la deprivazione da sonno condiziona e limita la prestazione in tutta l’area delle gare con chilometraggi superiori ai 150 chilometri. Oggi tanti atleti che corrono gare del genere parlano di “microsonni”, ma molte volte anche a sproposito. Il termine viene usato per indicare una miriade di tecniche, di approcci e di pratiche diverse. Il mio obiettivo è quindi quello di fare un minimo d’ordine intorno a questi concetti, distinguendo tra ciò che è scientificamente documentato e ciò che è invece retaggio delle leggende metropolitane.

La prima cosa da capire sono le conseguenze reali della deprivazione totale e parziale di sonno. Non tutti ne sono consapevoli. Mi soffermo sugli aspetti più immediati, quelli che l’ultratrailer avverte più facilmente su di sé, che sono di natura mentale e comportamentale. Ci sono poi altri effetti, più legati alla sfera somatica, i cui effetti richiedono più tempo per essere avvertiti e che qui mi limito soltanto ad elencare: l’indebolimento progressivo del sistema immunitario, l’alterazione nella secrezione di ormoni come il GH e il cortisolo, il deterioramento dei processi metabolici (oltre ad una diminuzione della secrezione di leptina con un conseguente aumento incontrollato dell’appetito); ed infine l’impatto sul sistema cardiovascolare, con un aumento costante della pressione sanguigna che può avere conseguenze gravi. Questi gli effetti mentali e comportamentali:

Deterioramento di tutte le capacità cognitive, in particolare quelle legate all’attenzione

Numerose ricerche dimostrano che periodi anche relativamente brevi di DDS causano deterioramento nelle capacità cognitive, come ad esempio la capacità di memorizzare degli elementi o la capacità di prestare attenzione ad uno stimolo. I processi cognitivi sono implicati in pressoché tutte le attività umane: pensiamo ad esempio come la capacità di concentrarsi sia fondamentale quando si corre in discesa o in percorsi tecnicamente complessi; quando si debba cercare il tragitto giusto ed evitare di perdersi; quando si debba distogliere l’attenzione dalla fatica acuta o dal dolore.

Iper-reattività emozionale

Dormendo poco o per nulla la gestione delle proprie emozioni, specialmente quelle negative, diventa più difficile. Cambia il tono dell’umore che si fa più irritabile, il soggetto diventa più aggressivo, irascibile, sensibile alle frustrazioni. Una breve chiacchierata sull’argomento con qualche volontario nelle Basi Vita risulterà illuminante.Ciò sembra dovuto al fatto che la DDS mette in crisi i lobi prefrontali del cervello, che normalmente inibiscono i comportamenti impulsivi.

Cambiamenti peggiorativi nella percezione della fatica

Alcune ricerche hanno dimostrato che la DDS aumenta la percezione di fatica (misurata con la scala di Borg) in soggetti impegnati in lavori aerobici prolungati. In altre parole, quando non si dorme – a parità di carico di lavoro- si avverte un maggior affaticamento.

Compromissione dell’equilibrio posturale e aumento dei rischi di cadute e infortuni durante la corsa

Uno studio pubblicato con alcuni colleghi ha mostrato come fatica e deprivazione di sonno durante una gara come il “Tor des Geants” possano aumentare le difficoltà nel mantenimento dell’equilibrio e della postura a causa dell’affaticamento del sistema nervoso centrale e di alcune aree specifiche del cervello.

La conseguenza finale e congiunta di tutti questi effetti è uno stato in cui il podista non riesce più rimanere in stato di veglia: è come se il cervello tendesse continuamente a spegnersi da solo. Il soggetto rimane imbambolato, tende immediatamente ad addormentarsi e a sognare appena quello che resta della sua attenzione intercetta uno stimolo fisso, come il cono di luce della propria lampada frontale. Proseguire diventa penosissimo: il nostro eroe prova a cantare, a parlarsi, perfino a schiaffeggiarsi. Non serve a niente. Si resta lì, a volte in preda alle allucinazioni.

Per non trovarsi in queste situazioni, la soluzione a cui spesso si ricorre spontaneamente è appunto il micro-sonno: organizzarsi per disporre di brevi soste in cui si dormono alcuni minuti. Ma il micro-sonno “serve”? Migliora realmente la situazione in cui si trova il soggetto o si tratta solo di auto-suggestione? E cosa succede nel cervello quando entriamo nel micro-sonno?

Esiste uno studio molto interessante che ci aiuta a capire come il ricorso al micro-sonno abbia probabilmente un fondamento reale nel nostro funzionamento neurofisiologico. Una ricerca ha valutato dal punto di vista encefalografico la qualità del dormire in un soggetto che aveva camminato per 338 miglia in uno stato di deprivazione parziale di sonno. Quello che colpisce è che -appena viene messo a nanna- il soggetto mostra un veloce ingresso nella fase ad ONDE LENTE del sonno. Il sonno ad onde lente (indicato anche con l’acronimo SWS che indica in inglese Slow Wave Sleep) è un termine utilizzato per indicare il sonno profondo. In questa fase l’attività metabolica del cervello è ridotta: ed il cervello registra il più basso consumo di ossigeno e glucosio. James Horne, studioso britannico ed autore di un celebre libro sul sonno, sostiene che il cervello – differenza dei muscoli volontari –non può mai rilassarsi o rallentare la propria attività durante lo stato di veglia. Quindi, finchè l’attività cerebrale non viene rallentata, il cervello non può procedere ad attività di riparazione e revisione. Lo scopo della fase SWS sarebbe proprio quello di permettere tali attività. La scoperta sorprendente nello studio sul camminatore in deprivazione parziale di sonno sarebbe allora questa: se lo spazio del sonno viene ridotto e compresso in piccoli intervalli più o meno frequenti, il corpo si organizza per ottimizzare i tempi. Stabilisce delle priorità ed entra immediatamente nella fase che è più importante per la sopravvivenza; e rimanda invece fasi meno fondamentali nell’immediato, come per esempio quelle legate al consolidamento degli apprendimenti e dei ricordi.

La strategia dei micro-sonni possiede dunque una validità reale; essa affonda le sue radici nelle capacità auto-organizzative del sistema cerebrale, che è in grado – pur di assicurarsi la sopravvivenza ed un minimo di funzionamento di base- di mutare il proprio modo di dormire, adattandosi a brevi intervalli di sonno. Questi intervalli –nella mia esperienza- diretta o legata all’osservazione dell’esperienza altrui, hanno una durata ottimale se sono compresi tra i 20’ e i 40’. Attenzione però a non perdere il senso del limite: si tratta pur sempre di una strategia di emergenza. Purtroppo, a quanto pare, e checché se ne dica, l’uomo non è fatto per non dormire.

A questo proposito vi segnalo uno studio promosso dal Centro di Ricerca sulla Prestazione Umana CERISM e dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Verona che si svolgerà al Tor450. La ricerca vuole indagare gli effetti della deprivazione da sonno e dello stress sulle capacità cognitive in atleti over 50, per capire se è vero che un’atleta più “anziano” gestisce meglio le difficoltà e lo stress. Sembrerebbe di sì, ma questo ve lo racconto un’altra volta.


1. Pilcher, June J. – Walters, Amy S. , How sleep deprivation affects psychological variables.., Journal of American College Health; Nov97, Vol. 46 Issue 3, p121, 6p, 2 charts; Kim, Dai-Jin, Lee, Heung-Pyo, Kim, Myung Sun, Park, Yu-Jin, et al. The effect of total sleep deprivation on cognitive functions in normal adults male subjects, International Journal of Neuroscience; 2001, Vol. 109 Issue 1/2, p127

2. Seung-Schik Yoo, Ninad Gujar, Peter Hu, Ferenc A. Jolesz and Matthew P. Walker, The human emotional brain without sleep — a prefrontal amygdala disconnect, Current Biology, Volume 17, Issue 20, R877-R878, 23 October 2007

3. Myles WS., Sleep deprivation, physical fatigue, and the perception of exercise intensity, Med Sci Sports Exerc. 1985 Oct;17(5):580-4

4. Alterations in Postural Control during the World’s Most Challenging Mountain Ultra-Marathon, Degache F, Van Zaen J, Oehen L, Guex K, Trabucchi P, et al. PLoS ONE, 2014, 9(1): e84554. doi:10.1371/journal.pone.0084554

5. Davies B, Shapiro CM, Daggett A, Gatt JA, Jakeman P, Physiological changes and sleep responses during and following a world record continuous walking record ,  Br J Sports Med. 1984 Sep;18(3):173-80

6. James Horne, Perché dormiamo. Le funzioni del sonno negli esseri umani e negli altri mammiferi, 1993; Armando Editore



Continuano gli studi del CERISM sui partecipanti al Tor Des Glaciers
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