PIETRO TRABUCCHI
Pietro è uno psicologo che insegna al Dipartimento di neuroscienze e Scienze del Movimento dell’Università di Verona e al Centro di ricerca sulla prestazione umana CeRiSm di Rovereto.
E’ stato psicologo delle Squadre Nazionali italiane di sport di fatica come sci di fondo, canottaggio e triathlon in tre olimpiadi; ed ha all’attivo molte spedizioni alpinistiche in tutto il mondo (Everest, Denali, Elbrus, Kilimanjaro, Groenlandia) dove ha effettuato ricerche scientifiche e lavorato sui team coinvolti.
E’ un trailer “di vecchia data”: ha corso la prima edizione dell’UTMB nel 2003, ha terminato più volte PTL, Tor des Geants e ultimato Yukon Artic e Rock and Ice nell’artico canadese. Ha pubblicato diversi lavori di ricerca scientifica e alcuni libri.
Beh, potrei rispondere che la scienza non ha mai lasciato il Tor. Ha iniziato ad “accompagnarlo” con l’edizione “zero” - il test che fu realizzato esattamente un anno prima del debutto della gara: era infatti necessario capire se una tale competizione fosse realizzabile, prima di investirci centinaia di migliaia di euro.
Realizzabile non dal punto di vista organizzativo, ma dal punto di vista dei partecipanti: in altre parole, come si poteva essere sicuri a priori che persone “normali” potessero portare a termine la gara? Bisogna tenere conto che quattordici anni fa la percezione dei limiti umani nell’endurance era diversa.
C’erano pochissime gare di ultra-endurance, non solo in Italia ma ovunque. E mi ricordo che tantissimi erano scettici sulla possibilità che qualcuno ce la potesse fare a terminare il percorso.
Così abbiamo allestito insieme agli organizzatori- noi come Dipartimento di Neuroscienze e centro di ricerca CeRiSm sulla prestazione umana- una edizione test: e alcuni di noi hanno fatto letteralmente le “cavie”, correndo la gara. Da lì in poi abbiamo arricchito enormemente le nostre conoscenze sui limiti umani.
Bisogna tenere conto che il Tor rappresenta un laboratorio straordinario per misurare le capacità umane di adattamento allo stress fisico e mentale.
E da allora abbiamo mantenuto un interesse costante, edizione dopo edizione, nel produrre ricerca su queste tematiche: spesso insieme ad altri atenei anche esteri. Anche quest’anno torneremo - anzi siamo già tornati.
Stiamo svolgendo da alcuni mesi una ricerca su quelle che vengono definite in psicologhese “capacità di coping” dell’atleta; e in settembre ci sposteremo anche per la prima volta sul Tor des Glacier con uno studio che mette in relazione deprivazione da sonno, metabolismo e stress.
Puoi fare qualche esempio delle ricerche realizzate negli anni al Tor. Hanno anche un valore pratico o sono cose molto teoriche?
La ricerca deve avere ricadute pratiche, altrimenti non serve. Beh, posso fare tre esempi di ricerche prodotte al Tor di cui sono co-autore. La prima è una ricerca svolta insieme all’Università di Losanna: ha dimostrato che il progressivo affaticamento del cervello durante la gara si traduce in un ritardo negli aggiustamenti posturali per il mantenimento dell’equilibrio.
Questo significa che più la gara si prolunga, più aumentano le probabilità di infortunio, specialmente in discesa. E’ un’informazione importante di cui tener conto per impostare la strategia di gara.
In un altro studio del Dipartimento di Neuroscienze e Sc. del movimento di Verona abbiamo dimostrato che il corpo degli atleti durante la gara “impara” a risparmiare progressivamente energia.
Questo fenomeno è legato principalmente al fatto che la micro-coordinazione del passo migliora sempre di più, giorno dopo giorno: cioè il sistema nervoso recluta e contrae con sempre maggiore precisione solo le fibre strettamente indispensabili a quel movimento, isolando quelle non necessarie. E questo abbassa il consumo energetico.
Inoltre, potrebbe anche esserci un effetto legato alla diminuzione dell’ansia presente in partenza e nei primi giorni, cosa che comporta un calo negli ormoni dello stress, con conseguenze sul metabolismo.
È un’ulteriore riprova del fatto che il nostro organismo possiede capacità di adattamento impensabili per fronteggiare lo stress.
Un terzo studio, uscito l’anno scorso sempre in collaborazione con Losanna, si è occupato delle modificazioni nell’attività elettrica spontanea del cervello, a causa del non dormire. Qui lo scopo è capire meglio i meccanismi alterati dalla deprivazione da sonno; anche per elaborare in futuro protocolli che aiutino le persone a gestire meglio questa condizione problematica.
Ecco, in questa sezione del sito cercherò periodicamente di inserire informazioni scientifiche tratte dalla letteratura specialistica -o dalle ricerche in corso- per dare tutte le informazioni che aiutino le persone a migliorare e gestire meglio le loro performance sul TORX.
Quindi alla fine la ricerca scientifica sta lavorando per “abbattere” i limiti umani alla prestazione?
No, i limiti umani esistono eccome! La filosofia “No limits” è una forma di pensiero magico ed ingenuo che spesso conduce a farsi del male, specialmente in montagna.
Credo invece che conoscere a fondo i propri limiti -invece che negarli -rappresenti sempre una pratica salutare: perché solo quando li hai trovati (e frequentati a lungo) puoi fare un passo oltre, puoi crescere.
Nessuno diventa mai Superman, però tutti possiamo diventare un pochino migliori: e sfide come il TORX rappresentano sicuramente un grande laboratorio per allenarsi a farlo.
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